Gavino Sanna lascia la Sardegna per il mondo molto presto e il mondo lo accoglie riconoscendo il tuo talento e portandolo a collezionare un successo dopo l’altro.

Tutti noi lo conosciamo come un grande pubblicitario, pochi di noi lo conoscono come produttore di vino grazie a Cantina Mesa. Eppure, al termine della sua carriera, Gavino Sanna, che ha girato il mondo portando nel cuore il suo legame viscerale per la Sardegna, è proprio qui che torna.

In quest’isola che lui definisce generosa si imbatte con entusiasmo in un’impresa nuova, raccontare la magia di una terra meravigliosa attraverso il suo prodotto migliore: il vino.

Come è arrivato al mondo del vino?

A seguito della volontà di “donare” qualcosa alla mia Terra Madre che ho lasciato giovanissimo per questioni di lavoro. Ho sempre portato nel mondo l’orgoglio di essere sardo. Dopo il mio addio alla carriera di pubblicitario nutrivo la voglia di impegnarmi in qualcosa che potesse portare per il mondo il nome ed il valore della mia Isola. Come dico sempre; “la mia impresa come produttore di vino è la mia campagna pubblicitaria fatta per la Sardegna attraverso uno dei suoi prodotti di eccellenza: il vino”.

Il ricordo più lontano legato al vino

Devo fare una premessa: a casa non si beveva vino.

Andando indietro nei ricordi il primo assaggio avvenne in Sardegna da giovane. Fu naturalmente un rosso: scuro, possente, alcolico. Per un non bevitore come me fu sin troppo. Generalmente preferisco vini poco acidi, con un bel frutto, poco alcolici. Poi, sono sempre pronto a scoprire nuovi assaggi e trovare della bontà dove c’è. È evidente che le “bollicine”, per la loro connaturata acidità; non sono nella top five dei miei vini del cuore, però l’estate scorsa per il compleanno di mia moglie Lella, mio nipote, ha ordinato una delle sue bollicine metodo classico preferite e devo dire che abbiamo fatto anche il bis!

Il mio approccio al mondo del vino prima di Cantina Mesa è sempre stato legato a momenti di condivisione: cene di lavoro, pranzi con amici, un party post-produzione, un vernissage. Direi di aver avuto un approccio al vino per ragioni di “socialità”, al di fuori di queste occasioni non ero e non sono un consumatore quotidiano di vino. È con la mia nuova carriera come vigneron che ho avuto una maggior frequentazione con il vino e tutto ciò che ruota attorno a questo meraviglioso prodotto; ed è quindi alla mia storia con Cantina Mesa che sono legati la maggior parte dei ricordi.

La sensazione, anche non sensoriale, del primo assaggio

Forza.

Il ricordo più emozionante legato al vino

Direi il debutto assoluto. La prima volta cioè che persone al di fuori della cantina hanno avuto occasione di assaggiare il prodotto. Avevamo raccolto alcuni protagonisti del mondo del vino sardo dalla compianta e bravissima Rita Denza al “Gallura” di Olbia per un tasting di presentazione. Avevamo solo due vini: il Carignano Buio e il Vermentino Opale; presentati con un labeling provvisorio. Molto lontano da quello attuale. Che emozione è stata scrutare i volti e le espressioni dei convenuti, cercare di carpire la reale impressione all’assaggio, provare a capire dove finivano le parole di sincero apprezzamento ed entusiasmo e dove invece iniziavano quelle di forma e cortesia. Erano le mie nuove “creazioni” che debuttavano in un mondo a me ignoto che proprio per questo mi intrigava e mi intimoriva allo stesso tempo. Fu una giornata memorabile: anche per i piatti della mia amata amica e cuoca Rita.

Un aneddoto, legato al vino che le sta a cuore

Un simpatico aneddoto vissuto in Sardegna poco tempo dopo il debutto della Cantina. Durante la stagione estiva ero a cena con mia moglie in un ristorante di Alghero. Uno dei camerieri impegnati nel servizio doveva suggerire a un turista un vino adatto alla portata ordinata. Il ragazzo, che mi aveva riconosciuto, iniziò a decantare le lodi di questa nuova cantina nel Sulcis, che si era vocata al Carignano, di cui consigliava appunto il Carignano base che serbava tutta la freschezza del mare e i sentori di macchia. Ad un certo punto il “continentale” decide che va bene: accetta di assaggiare questa nuova delizia!
Quando il cameriere torna al tavolo con la bottiglia di Buio per mostrarla al cliente prima di stapparla, costui si volta ed esclama “ah ma è il Buio!” Mi colpì molto che il signore non conoscesse il nome Cantina Mesa o il vitigno ma avesse già bevuto e apprezzato fuori Sardegna il nostro rosso base poco dopo l’apertura della cantina. Lo presi come un segno di buon auspicio per il futuro.

Cos’è il vino per lei?

Personalmente è stata ed è un’avventura in cui io e mia moglie Lella ci siamo buttati con anche quel pizzico di incoscienza che si trova in tante “avventure” iniziate con più temerarietà che razionalità e che poi hanno successo grazie al serio lavoro e all’impegno profondo.

Cosa le piace del vino?

Frequentando i ragazzi dello staff in cantina li sentivo parlare ed ero ammaliato dalla complessità di questo prodotto e di questo mondo. L’enologo come professionista è un blend -per restare in tema- tra un’artista e uno scienziato. E questo per quanto riguarda la parte tecnica. C’è poi la cultura del vino e il vino come cultura. Un altro affascinante capitolo: da dove viene, come è entrato nella vita degli uomini, che ruolo e che valore ha avuto nei secoli, come è diventato la bevanda che è, e poi le tante opere d’arte che ha ispirato o in cui è celebrato, citato, amato. Millenni di dedizione a questo frutto racchiusi in un ogni bicchiere. Lo trovo straordinario.

Una parola del mondo del vino che le piace

Amicizia. Non per niente uno slogan di Cantina Mesa recita “Sorridi, sei tra amici” mostrando la gamma delle nostre bottiglie. Questo volevo che fosse ogni mia bottiglia: un amico sincero che entra in casa tua per un pranzo in famiglia o un amico in più alla tavola quando stai con le persone cui sei legato. Il vino è realmente un elemento di socialità. Mai come in questa terribile esperienza dovuta al COVID ho capito quanto il vino sia un trait d’union tra persone ed affetti. Mio nipote Luca che ha seguito per me la cantina in Sardegna mi ha raccontato di non avere aperto nessuna bottiglia “speciale” durante la clausura: che senso ha, mi diceva, aprire un buon Champagne o Barbaresco o Syrah per berselo da solo in più pranzi? No, meglio attendere tempi migliori e riunire intorno al tavolo tanti amici e qualche meritevole bottiglia per celebrare la fine di questo difficile periodo.

Una parola del mondo del vino cha la rappresenta

Impegno. Arrivare alla bottiglia è un percorso lungo e difficile, una sfida che si ripete ogni anno. Senza alcuna certezza di come sarà: dai tempi di Noè ad oggi è il Cielo a decidere che vendemmia avrai. Nella speranza che l’annata sia buona e non si verifichi qualche sgradevole “imprevisto”. Tu come produttore puoi solo metterci tutto la tua cura e amore; prima e dopo la vendemmia. Nella mia vita ho sempre profuso il massimo impegno per arrivare dove sono arrivato. Lo stesso è stato con Cantina Mesa. In generale nel mondo del vino se vuoi raggiungere risultati d’eccellenza non puoi accettare scorciatoie, compromessi, lavorare con noncuranza o sufficienza.

Mi racconti il territorio dei suoi vini

Una terra speciale. Una parte di Sardegna molto particolare Lembo sud-occidentale dell’Isola che fronteggia le coste tunisine; e in mezzo tra le due sponde il meraviglioso Mediterraneo. Il Basso Sulcis dove si trova la cantina ha una storia antica. Qui arrivarono i Fenici per fondare alcune colonie. Qui i pirati musulmani crearono problemi sino al 1800. Una terra che è stata a lungo isolata rispetto ad altre parti dell’Isola, una terra dove un vitigno di origine spagnola, il Carignano, divenuto in Francia campione di produzione, in termini di volume, ma conosciuto per non esprimere particolari qualità, era una produzione dedicata a fornire vino da “taglio”.

Ebbene, il Carignano sulla fascia costiera del Sulcis in virtù delle condizioni climatiche “estreme” che qui trova, dei terreni sabbiosi e infertili in cui cresce e anche della particolare forma di allevamento ad alberello; è diventato quello che Mrs Robinson ha definito “the most delicious Carignane in the world”. Una produzione assolutamente di nicchia e pregio che può essere rivendicata con orgoglio proprio e unicamente dal territorio del Sulcis, a cui è legata la denominazione di origine controllata.

La sua è una terra da cui è stato molto distante, viaggiando molto. Cosa ha conservato della Sardegna? Cosa ha acquisito dal mondo?

Della mia terra ho sempre portato con me due caratteri: l’orgoglio e il coraggio. Il primo atto “audace” fu sicuramente lasciare Porto Torres per approdare a Milano dove ho iniziato la gavetta, era la fine degli anni cinquanta come “pubblicitario” presso il mitico studio Bellavista. L’orgoglio mi ha permesso di affrontare con tenacia la difficile vita del migrante, pendolare da Ospitaletto a Milano ogni giorno agli esordi, poi la piccola camera subaffittata in un appartamento da una sartina ed il marito in Corso Sempione a Milano. La fame, tanta, i soldi, pochi, insomma più la “vita agra” di Bianciardi che la “Milano da Bere” di Craxi.

Poi, orgoglio e coraggio mi fanno spiccare il volo laddove la mia passione poteva veramente essere coltivata al meglio, gli USA. A metà degli anni Sessanta il qui presente e giovane Bainzu, Gavino nel dialetto di Porto Torres, si affaccia al mondo dei Mad Men che avete conosciuto tramite le gesta di Don Draper. Fu un percorso favoloso, ma fu altrettanto duro.

Se vi aspettate che l’accoglienza sia stata stile Columbus Day con paillettes, squilli di tromba e applausi, scordateveli, tenete a mente che l’America è sempre e comunque un Far West. Il più veloce, il più bravo cavalca nella prateria. Il più lento va sottoterra. Lì non ci sono navigator, reddito di cittadinanza, assistenzialismo, inciuci: se vali e lavori sodo puoi arrivare dove vuoi, altrimenti non emergi o fallisci. Il mio orgoglio, il coraggio e la passione mi hanno portato ad eccellere.

Lavorando duro, il doppio degli altri per superare il gap che separava un ragazzo di NYC da un provinciale sardo. Grazie a Dio la mia famiglia mi ha dato quell’educazione e cultura che sono state il complemento della mia “forza” sarda. Ho portato negli USA un tocco di raffinatezza, poesia e “cuore” mediterraneo.

Cosa mi ha dato l’America? Lo spirito della sfida, del riconoscere i limiti solo per interrogarsi su come andare oltre. Sì, io ero un cow-boy “paisà” con davanti sterminate praterie per correre e arrivare dove volevo. Potevo finire, per continuare la metafora western, scalpato, impiccato, impallinato durante la mia personale “corsa all’oro”, ma il carattere sardo che è in me mi ha permesso di lottare e vincere.

Lo spirito della sfida, della “nuova frontiera” made in USA è stato parte di quel mix di coraggio, azzardo, determinazione che molti anni dopo mi hanno poi spinto, sulla scintilla dell’amore per la mia terra, ad affrontare l’altra Grande Prateria a me sconosciuta dell’avventura enoica. Ancora una volta coraggio, determinazione e impegno assoluto mi hanno permesso di coronare con successo un sogno. Mi permetta di rubare un po’ di spazio per ringraziare mia moglie Lella, i miei nipoti Luca e Stefano, che ha curato con me l’immagine intera di Cantina Mesa e di tutti i collaboratori che mi hanno aiutato a far diventare Cantina Mesa quella splendida realtà che oggi è. Il primo scavo per far sorgere dal nulla Cantina Mesa è avvenuto nel 2004. Siamo nati come piccola cantina familiare ed ora facciamo parte del Gruppo Santa Margherita. Un percorso di grande soddisfazione e di tutto rispetto direi.

I suoi vini, me li racconta?

Dovendo trovare un tratto comune a tutti direi che sono vini diretti. Creiamo vini che sappiano esprimere quanto più il territorio in cui nascono, avendo scelto quasi esclusivamente varietà autoctone. Gestiamo e lavoriamo le vigne in modo estremamente rigoroso, applicando un protocollo che prevede il massimo rispetto per le piante, il terreno e l’ambiente in generale. Quindi si utilizzano esclusivamente concimi organici, si applica la tecnica del sovescio dopo l’inerbimento dell’interfilare, nessun diserbo chimico, utilizzo quasi esclusivo di rame, zolfo e prodotti biologici per la lotta a funghi ed altri insetti dannosi, combattiamo gli insetti nocivi anche con il metodo della confusione sessuale o la diffusione di insetti antagonisti.

Tutte scelte improntate all’obbiettivo di miglioramento del benessere del terreno, delle viti e anche del personale che cura quotidianamente i nostri vigneti, e che permettono, assieme al miglioramento costante delle tecniche di lavorazione, di poter dar vita a vini caratterizzati da identità, espressione varietale e con l’obiettivo di aumentarne il potenziale di invecchiamento.

Il vino che più le assomiglia?

Se posso sceglierne uno della cantina Mesa, direi il Buio, Carignano del Sulcis DOC. Un vino all’apparenza semplice ma che sa dare tantissimo. Come ha scritto un giornalista americano: “Buio non è il vino della cantina Mesa che ti stupisce di più, ma raramente ho trovato così tanto in un vino così easy”. Buio è stato il nostro primo Carignano, ha profumi di frutta rossa e note balsamiche, sentori decisi di macchia mediterranea e una grande sapidità che gli dona il mare. Al di là della mia carriera, delle persone che ho incontrato, delle opere che ho potuto realizzare, io sono un uomo semplice. Ad un party extra lusso su uno yacht preferisco due spaghetti ai ricci con amici sul mio terrazzo ad Alghero. E poi come Buio, ho un cuore grande così.

Quello con cui si sente meno in sintonia?

Non amo i vini dalla spiccata acidità o quelli eccessivamente muscolari, e soprattutto non gradisco i vini con eccessiva alcolicità o comunque con un tenore alcolico non equilibrato rispetto agli altri elementi che lo compongono.

Le sue etichette, come nascono?

Quando si trattò di creare l’immagine di Cantina Mesa decisi che dovesse naturalmente rifarsi ai più antichi valori, simboli, tradizioni della Sardegna ma evitando di cadere nei cliché del nome etnico, così come della stereotipata immagine spiaggia, sole, mare, nuraghe. Volevo comunicare la mia Isola sulla bottiglia in modo innovativo e originale.

Le bottiglie, per lo meno le prime che avevamo scelte; erano scure; pressoché nere. A rimando delle donne che tutte nere vestite vedevo da bambino recarsi alla Messa. Austere, bellissime, forti donne di Sardegna! A loro e non al ridicolo machismo della balentia volevo dedicare questo primo tributo.

Le etichette frontali sono piccoli camei, che portano ognuno un colore diverso tra i tanti che rendono unici e spettacolari gli abiti della festa nella nostra Isola. Sopra il piccolo spazio colorato, che accoglie il nome del vino, un piccolo disegno bianco e nero che si ispira agli antichi arazzi di Sardegna. Un’altra delle arti che in questa terra si tramanda da millenni e che si può ancora godere in tutto il suo valore in uno di quei meravigliosi tappeti fatti ancora oggi con telai a mano dalle donne in alcuni laboratori artigianali dell’Isola.

Il retroetichetta dei vini Cantina Mesa. Descrizioni che hanno diviso la critica.

Parto con una premessa al fine di non suscitare inutili critiche. Non metto in dubbio l’approccio professionale al vino, l’importanza della giusta temperatura di servizio come del corretto bevante per i diversi vini o anche l’abbinamento ideale. Ma il vino per me è essenzialmente una cosa: piacere. Punto. Ed il piacere è una questione estremamente personale. Il nostro palato deve essere soddisfatto e ciò che rende l’esperienza del degustare assolutamente perfetta è la corrispondenza ai nostri gusti. Le racconto un aneddoto vissuto durante un viaggio di lavoro in Inghilterra. In un ristorante, due stelle Michelin, un cliente indiano si siede e ordina per la cena un vino rosso di un grande produttore italiano. Il sommelier, impeccabile nella sua elegante divisa con tanto di lucente taste-vin sul petto, lo porta su dalla cantina, esegue il rito della stappatura, arieggia il primo sorso nel ballon di cristallo e dato l’ok, serve il cliente. Il quale apprezza il vino scelto ma gela il sommelier con un laconico “il vino è caldo!”. In imbarazzo, il professionista fa notare all’avventore che la cantina del ristorante custodisce i vini a perfetta temperatura di servizio. Il facoltoso cliente sorride e ringrazia e gli risponde che non mette in dubbio che un ristorante di quel livello tratti i vini come meritano ma che a lui quel vino piace berlo fresco, per cui di portargli un seau à glace per poterlo raffreddare e gustare come desiderava. Con eleganza e ben celato disappunto il sommelier fa arrivare al tavolo ghiaccio e secchiello. Certamente puristi e professionisti storceranno il naso per la scelta del cliente e a ragion veduta potranno far notare che quel vino e quell’annata non sono state apprezzate in tutta la loro magnificenza e complessità data la  temperatura ben inferiore a quanto consigliato. Oppure no dico io: consumato come andrebbe bevuto quel vino, non avrebbe dato a colui che l’ha scelto lo stesso godimento che invece ha provato bevendolo esattamente come gli piaceva. Certo anche a me dispiacerebbe veder il nostro Vermentino Giunco bevuto a una temperatura non corretta, ma insisto: il vino è piacere e il piacere è assolutamente personale. Questo per arrivare alle retro-etichette. Quando si trattò di pensarle, volli che non fossero la solita “indicazione di servizio” o la solita esaltazione che tutti facciamo del territorio, da uve nate in un territorio vocato, provenienti da vigne perfettamente esposte, su colline assolate e ventilate etc etc. Ho voluto invece delle piccole poesie che raccontassero il carattere del vino e il territorio in modo inusuale ma veritiero. Posso accettare che a tanti non siano piaciute, siano sembrate fatue, inutili o peggio. Eppure non sono parole buttate là per fare l’originale, il creativo, il diverso. In ogni retro vi è una forte assonanza tra caratteristiche del vino e quanto espresso semplicemente in modo non prosaico. Nè sono componimenti presi a un noto poeta, ma composizioni da noi studiate partendo da ogni singolo vino e le sue caratteristiche.
Un solo esempio: quando nella retro-etichetta del nostro Carignano Riserva Buio Buio scriviamo “…corpo forte di tronco secolare che racconta nell’uva il vento e il mare mai spenti…” è un modo sognante di dire che è un vino dalla struttura importante, ottenuto da vigneti ad alberello, alcuni molto vecchi, posti in vigneti di fronte al mare. Non so lei quale delle due formule preferisca ma vorrei dirle che il marketing è creare e vendere sogni non solo vendere prodotti.

Lei ha conosciuto molti personaggi nella sua vita. A quali di queste persone assomigliano i suoi vini?

Dedico Gavino a colui che ha sempre portato la Sardegna nel cuore, Gigi Riva perché Gigi, come il Carignano, viene da lontano e qui ha trovato il suo habitat naturale ed anche perchè il Carignano Gavino, come Gigi, unisce classe, passione, potenza ed eleganza.

Molti anni fa a New York, per il lancio mondiale della birra, ci serviva una persona importante. Chiamammo Muhammad Ali. Personaggio bello ed elegante, come sanno essere gli sportivi americani quando devono raccontarti un pezzo della loro straordinaria vita. Brace è il vino che abbino ad Ali, Cagnulari rosso, consistente, gradevole, di carattere forte e vulcanico.

Dedico Moro ad Andrea Parodi, simbolo ed orgoglio della Sardegna. un vino puro, generoso, armonico e forte. Siamo nati a Porto Torres e la nostra amicizia è stata bella ed intensa. Ha lasciato una memoria che tutti possono apprezzare.

Frank Sinatra lo incontrai quando fu scelto come testimonial per i baci perugina.  Popolare e di grande successo, un’icona della musica e del suo tempo. L’accostamento al nostro Syrah Brama è quasi d’obbligo: un vino affascinante, pieno, grintoso che non finirà di sorprenderti.

Se i suoi vini fossero canzoni?

Sarebbero canzoni che parlano di cuore, tanto tanto cuore. Di quel nucleo vitale che per ogni uomo che è fatto degli affetti che coltiva nel suo percorso e che obbligatoriamente hanno radici nel luogo dove è nato, nella famiglia che lo ha accudito, dalle persone che ha amato e che lo hanno forse tradito e viceversa. Canzoni che parlano delle piccole cose della vita ma che alla fine sono poi quelle immense realtà che ne costituiscono la magia. Se dovessi scegliere un genere direi il country americano, mia vera passione, o le meravigliose canzoni dell’amico sardo Piero Marras.
Nella struggente canzone di Piero Bae Lunae, che di Cantina Mesa è la “bandiera” sonora, si parla di bambini che giocano nei viottoli, del padre che torna dal raccolto nei campi, delle spose che lavano al fiume, di mandorli in fiore…. Piero canta cose semplici e profonde. Come vorrei fossero i nostri vini. Come recitiamo nella retro etichetta del Buio, è “…semplice e vigoroso come una stretta di mano”. E cosa c’è di più umano, bello e vero che un’onesta stretta di mano tra persone civili in luogo di raffinati ossequi e pedanterie da, scusi il gioco di parole, etichetta?