Gianvito Rizzo nasce in una famiglia di viticoltori salentini. Giornalista pubblicista si trasferisce a Milano per seguire la carriera.

Il ricordo del profumo di mosto lo riporta nel Salento, dove dal 2002 gestisce una cantina in società con amici con l’obiettivo di salvare dall’abbandono le vigne di Negroamaro.

Qual è stato il suo primo incontro con il vino?

Certamente quello legato all’infanzia. Il palmento di famiglia che profumava di mosto, la vinaccia calda appena tolta dal torchio e stretta tra le mani. E poi nascondersi nei tini prima dell’ammostamento, divertirsi a pigiare l’uva a piedi scalzi.

La sensazione anche non sensoriale del primo assaggio?

Chi è nato in una famiglia dove il vino era “pre-esistente” alla propria nascita, come nel mio caso, difficilmente ricorda un “primo assaggio” vero e proprio. Già da piccolissimo, come tanti nel Salento, ho assaggiato il vino  immergendo il dito nel bicchiere e mangiato a merenda le fette di pane fatto in casa inzuppate di Negroamaro con sopra una bella panatura di zucchero. Era una sorta di dolce povero, semplice ma buono.

Il ricordo più emozionante legato al vino?

Il primo Vinitaly, nel 1999, quando una volta entrato nel padiglione fui come “Alice nel paese delle meraviglie”.

Un aneddoto legato al vino che le sta a cuore

Nel 2003 organizzammo la prima festa della vendemmia: una signora sulla settantina, mentre eravamo di fronte a una vecchia vigna di Negroamaro coltivata ad alberello, mi chiese se ogni anno dopo la raccolta quelle piante venivano estirpate per piantarne delle altre, un po’ come accade con le rape!

Mi racconti la sua storia

Dovevo fare il giornalista e in effetti, per certi versi, lo sono a metà. Infatti, a diciannove anni ero già iscritto come giornalista pubblicista all’ordine di Puglia e Basilicata. Poi l’università in una delle città con la più alta concentrazione di grandi giornali come Milano avrebbe facilitato, secondo i miei progetti, la scalata verso il professionismo. La laurea in Bocconi però, bloccò definitivamente ogni mia aspirazione in quel senso e adesso, assieme alle tante incombenze che mi vedono impegnato in cantina  faccio  anche il “direttore” dell’ufficio stampa della Feudi di Guagnano.

Ora mi racconti la sua storia senza vino

Il vino e la vigna, con le sue tradizioni e la propria cultura, rappresentano per un bambino che cresce in una famiglia di vignaioli qualcosa di magico e ancestrale. Soprattutto il periodo della vendemmia e della vinificazione con i profumi intensi del mosto, come  delle vinacce, è qualcosa di veramente straordinario. Da piccolo, assieme agli amici, imitavo mio padre a fare il vino costruendo micro palmenti dove iniziavo a capire come pigiando l’uva si poteva ottenere il mosto e poi il vino. Dopo una quarantina d’anni la magia si è rivelata!

Il territorio dei suoi vini

Il Salento è terra tra due mari. Non è un’isola ma non può definirsi nemmeno penisola. È una e l’altra cosa. Venti da oriente e da occidente l’attraversano, con quella giusta carica di salinità che rende i nostri vini unici. Il Negroamaro e il Primitivo sono i due vitigni principali che dimorano sovrani su terreni rossi, ricchi di ferro, e calcarei argillosi. Fiumi sotterranei attraversano le nostre terre da millenni e testimoniano, se ce ne fosse bisogno, dello sforzo continuo del vignaiolo nel coltivare piante di vigne austere ma allo stesso tempo potenti.

I suoi vini, me li descrive?

Un filo rosso li tiene insieme tutti, dal Nero di Velluto al Vegamaro, dal DieciAnni Verdeca al Rosarò: l’eccezionale bevibilità e franchezza. Vini che rispettano il territorio, vini riconoscibili.

Posso dirle cosa non troverà: non troverà marmellata e sciroppo, colori impenetrabili e tanto tanto legno. Potrà scoprire invece, il profumo della macchia mediterranea e il sapore dei venti che attraversano le nostre vigne da oriente a occidente e viceversa.

Soci Feudi di Guagnano vini del salento

Nero di velluto, bellissimo nome, come nasce?

” (…) Ed a piè di ogni vite tutto è diventato nero di velluto, tutto è maturo, deliziosamente profumato”. Da questa frase, estrapolata da un articolo dal titolo “La vendemmia nel Salento” pubblicato nel numero di novembre 1918 del fotografo/giornalista salentino Giuseppe Palumbo, nasce ufficialmente questo straordinario vino.

Pietrafinita, un piccolo gioiello

Un primitivo in purezza, sangue della nostra terra! Bellissima espressione di un vino con una gradazione importante ma di una freschezza straordinaria che rimane nella memoria sin dal primo assaggio, proprio come le “pietrefinita”, o pietre di confine, sono rimaste per secoli nello stesso posto in cui i nostri antenati le avevano collocate.

Cupone, c’è del mistero

Se pensiamo al fatto che il sottosuolo salentino è pieno di grotte e fenomeni carsici si. Infatti, la contrada denominata Cupone trae origine, probabilmente, dalla particolarità del suolo ricco di avvallamenti, voragini e fiumi sotterranei.

Vigneti di Feudi di Guagnano vini salentini

I vostri bianchi si ispirano alla donna

Non so se trovano ispirazione nella donna, di certo sono vini dal gusto deciso e dall’ottima bevibilità.

DieciAnni, come nasce e perché questo nome?

Il primo vino col nome DieciAnni è stato la Verdeca. Infatti, dieci anni ha impiegato una giovane vigna  di Verdeca per iniziare a dare un buon vino e perché noi ci convincessimo a iniziare a metterlo in commercio. Il successo riscontrato da questa prima etichetta ci ha convinto poi a creare una vera e propria linea con le diverse declinazioni dei nostri vitigni più importanti: Negroamaro, Primitivo, Malvasia Nera.

C’è una poesia in etichetta

Si, nel ridisegnare le antiche etichette abbiamo inserito alcuni versi di stile bodiniano che  potessero in qualche modo far parlare quel vino:

Ha le mani sporche

di terra questo sud

la faccia pregna di zolfo

l’anima ebbra di mosto

questo sud, le pietre annerate

e i filari infuocati

in dieci anni millenni

di storia

questo sud.

Rosarò riprende un’antica tradizione.

Intanto diciamo che con l’annata 2019 questo vino ha fatto un ulteriore salto di qualità passando dalla denominazione IGT Salento a una delle DOP più conosciute della Puglia: il Salice Salentino DOP.

Il nuovo Rosarò è il risultato della continua ricerca dell’eccellenza e della bellezza in un vino, il rosato da negroamaro, che da sempre ha rappresentato l’identità vera del Salento vitivinicolo. Conosciuto ai più nel 2006 per la prima volta con l’annata 2005, Rosarò richiama il sound tipico dei nomi degli uomini e delle donne del Sud anche se, in realtà, altro non è che la s-composizione dei nomi rosato e rosso: rosa_rò. E questo perché  sin dalla sua origine il Rosarò è stato concepito come un vino rosa, luminoso e cristallino ma allo stesso tempo  con un corpo e una  struttura tipici di un rosso così come era nella tradizione antica.

La sua eccezionale bevibilità e versatilità negli abbinamenti, per esempio d’estate con carni alla griglia si, proprio così, o con piatti di pesce (troccoli al ragù di scorfano; tubettini con la pescatrice; tartare di ricciola agli agrumi) e, dopo almeno tre anni di invecchiamento, con crostata di ricotta alla salentina o pastiera napoletana, lo collocano tra i migliori “vini gastronomici” d’Italia cioè quei vini che sono stati concepiti e sono nati per “stare” con il cibo e, nello “sposalizio” con esso, esprimere il massimo della loro qualità e del loro valore.

Feudi di Guagnano sala degustazione vini pugliesi

Il vino che più le assomiglia e perché

È quello che ancora devo produrre!

Una parola nel mondo del vino che le piace 

Etica. Produrre e pagare un vino secondo etica. Questo garantirebbe la sopravvivenza di tante piccole aziende ma anche di tanti straordinari territori .

Una che la rappresenta

Ne cito due: amicizia e condivisione. Due parole  che per me rappresentano importanti traguardi in un settore in cui molti colleghi dopo tanti anni ancora non si sono scambiati un saluto .

Se i suoi vini fossero canzoni?

Il Rosarò potrebbe essere “Con il nastro rosa” di Lucio Battisti. È un vino straordinario, una piacevole  scoperta e, la prima volta, da bere con la persona che si ama.

Libertango di Astor Piazzolla invece è l’abbinamento ideale per il Nero di Velluto: potenza espressiva nel colore e nella struttura. Eros e passione nel calice allo stesso tempo. Da degustare anche con un bel cubano mentre si ascoltano le note incalzanti di questo tango argentino famoso in tutto il mondo.

O opere d’arte? 

Quando guardo le etichette della linea DieciAnni penso all’”Albero della Vita” di Gustav Klimt, alle sue “geometrie fluide”. Le linee tondeggianti delle nostre etichette riprendono quelle del nuovo logo e poco hanno a che fare con l’opera dell’artista viennese ma, dovendo rispondere alla sua domanda, ho dovuto  fare uno sforzo d’immaginazione notevole.

Con quale produttore di vino vorrebbe uscire a cena? 

Con due produttori, se mi permette, che però ci hanno lasciato troppo presto.

Con Cosimo Taurino che ho conosciuto si, ma non da collega. Troppa differenza di età e strade diverse quando lui era al culmine del successo. E Augusto Cantele, potrei dire “intravisto” prima della sua scomparsa, quando ormai era guagnanese di adozione avendo impiantato la sua cantina definitivamente  a Guagnano. Del primo mi ha sempre incuriosito il coraggio e la potenza visionaria della sua azione. Del secondo, la grandissima conoscenza della materia e l’impostazione moderna della sua cantina. Cena impossibile come si può comprendere!