L’amore è passione, ossessione, qualcuno senza cui non vivi.

Finisce con il monologo sull’amore di “Vi presento Joe Black”, la mia intervista ad Arianna Occhipinti riconosciuta come una delle più tenaci e celebri tra le donne del vino, si è affermata in questo mondo grazie alla sua passione. 

Colpita da Cupido tra i filari delle vigne dello zio, Arianna trasforma il colpo di fulmine in un sentimento. Lo coltiva frequentando enologia e viticoltura all’università di Milano e lo accompagna nutrendolo con tutti quei dettagli che nel tempo fanno grandi le storie d’amore. 

Rispetto, dialogo, ascolto, empatia sono gli ingredienti dei suoi vini che lei ha fortemente voluto “naturali”. 

Lavorazioni manuali, coltivazione biologica, fermentazioni spontanee, nessun additivo, nessun enzima, nessuna filtrazione o stabilizzazione. Scelte nate e maturate nella profondità del suo pensiero, attraverso percorsi di vita alla ricerca di un equilibrio e di un’armonia, non solo interiore.

Donne del vino: l’intervista con Arianna Occhipinti

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Come sei arrivata al mondo del vino? 

Il vino è arrivato nella mia vita quando avevo sedici, diciassette anni. Lo zio Giusto, proprietario di Cos, mi ha invitata ad aiutarlo al Vinitaly. Per me significava saltare quattro giorni di scuola per cui ho accettato. Quando sono arrivata a Verona ho sentito tutta la frizzantezza e gioia di scambi commerciali intorno al vino e ho gioito. Lì ho preso la decisione di iniziare ad aiutare lo zio il fine settimana e mi sono appassionata di cantina, poi di vigna, così tanto da decidere di studiare Enologia e Viticoltura. Al terzo anno di università ho affittato il mio primo ettaro di terra, un gioco che è diventato realtà ben presto. Accompagnato da amore e passione, un mondo che non finiva mai di stupirmi.

È un mondo che hai sentito subito tuo? 

È stato amore a prima vista. Quando scopri il mondo del vino e soprattutto dei vini artigianali e naturali non torni indietro.

Raccontami il tuo inizio che forse inizio non è, ma un ritrovare o scoprire qualcosa che era già tuo?

Non conta l’oggetto, il vino, ma conta il fare per te.

Ti innamori di un territorio, crei il tuo legame con la terra, a volte viscerale, vuoi scavare e conoscere, ascoltare e interpretare. Il vino ti dà spazio ma ti lega.

Da Milano dove ero andata a studiare ho iniziato a ricordami i Monti Iblei, le contrade di Vittoria, dove andavo con mio padre la domenica a fare gite in campagna per rispondere alla mia natura selvaggia di esploratrice. Mi arrampicavo,  bagnavo i piedi nei ruscelli, rubavo qualche frutto in qualche proprietà, mi intrufolavo nelle case antiche diroccate per osservarle e capire cosa accadeva, leggevo le scritte sui muri che lasciavano i ragazzi durante le loro scorribande.

Questi ricordi ripiombano tutti in una volta, mentre ti sforzi di farti piacere l’enologia che studi all’università, alla quale contrapponi la tua visione empatica dell’agricoltura che si va formando.

Accettazione

La prima cosa che mi viene in mente è accogliere. Accogliere le stagioni e la Natura con le scelte che ti porta ogni anno diverse. Accettare i suoi ritmi che si alternano tra accelerazioni e rallentamenti. Oggi vuol dire anche accettare me stessa. Le mie scelte, le mie corse e oggi la necessità di rallentare un pò o provare a vedere le cose diversamente.

Il primo ricordo legato al vino? 

Una domenica in cantina da mio zio, quando aveva da poco ultimato la cucina e invitò Marco De Bartoli. Io ero lì, osservavo, assorbivo, sognavo..

Il primo incontro con il vino, il primo assaggio. 

Non mi viene in mente il primo assaggio, mi viene in mente il primo assaggio folgorante. Un Oslavie di Stanko Radikon, bevuto a casa di Elena Pantaleoni un sabato a pranzo tra una settimana di università e un’altra.

Il secondo? È stata una conferma? 

Tutti gli assaggi successivi sono stati una conferma. Non avrei più lasciato il vino per nulla al mondo.

Cos’è il vino per te? 

È la mia vita. Mi accompagna, mi insegna, scandisce dei periodi mentre cose e persone vanno e vengono e lui rimane, anche quando sembra volersene andare.

Raccontami il territorio dei tuoi vini

Vittoria, ai piedi dei Monti Iblei, culla di civiltà contadina trasformata. Fu fondata dalla Contessa Spagnola Vittoria Colonna nel 1607, per bonificare la zona delle Grotte Alte, dove i banditi nascondevano i raccolti rubati, e promise di regalare un ettaro di terra ai 75 coloni se ne avessero coltivato uno a vigneto. Le sue sabbie rosse sfumano verso il bianco, il grigio e tornano al rossastro, sono di origine marina. Dopo uno strato di circa 30/40 cm si trovano strati di calcare ricchi di fossile a testimoniare un periodo storico Miocenico, quando la Sicilia era sotto il mare.

Il vino che più ti assomiglia?

Penso Il Frappato

Aneddoti legati ai tuoi vini .. 

L’SP68 bianco e il frappato sono stati vini per primi appuntamenti di alcune coppie e questa cosa mi fa piacere oltre che sorridere. Non solo li hanno apprezzati ma le persone si sono legate tra loro e a questi vini per sempre.

Hai avuto un momento in cui hai detto basta? 

Incertezze si, molte per fortuna, allontanamenti emotivi anche, trasformati a volte in brevi allontanamenti fisici. Ma non ho mai detto basta. Il vino si evolve con me. Ci si ama e ci si accompagna.

Cosa ti ha spinto ad andare avanti? 

La mia determinazione forse, che tutti chiamano forza, per me invece è più una risposta pratica ad un misto di emozione, malessere, rischio, volontà e capacità di scegliere.

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Una parola nel mondo del vino che ti piace 

Catalizzatore di energie tra gli uomini, la uso ogni tanto per descrivere la capacità che ha in se di unirci.

Se i tuoi vini fossero delle canzoni? 

L’Sp68 sarebbe I heard it trough the Grapevine di Marvin Gaye

Il Frappato sarebbe On The Nature of Daylight di Max Richter

Il Siccagno, Mi sei scoppiato dentro il cuore di Mina

Grotte Alte The Rip dei Portishead

Finisce qui la mia intervista ad Arianna Occhipinti una delle più giovani e promettenti donne del vino italiane.